Il sorriso di Democrito

 

Marta Pinzauti I sez. C Liceo Classico "Machiavelli"

 


Jusepe de Ribera, Democrito?, 1630 (Madrid, collezioni reali - Monastero dell'Escorial - Museo del Prado)

 

“Colui che non si cruccia per le cose che non ha, ma gode di quello che ha”: il Saggio.

E cosa poteva desiderare, Democrito, più del suo sapere?

Forse lui stesso poteva identificarsi nell’autocrate, uomo ideale che riesce a dominare le proprie passioni e il proprio umano desiderio di un piacere smoderato ed effimero con la propria forza di spirito. Forse proprio lui, grazie alla sua tranquillità d’animo, era riuscito a raggiungere la vera felicità, il vero gusto della vita, l’euthymia, ad essere veramente in pace con se stesso.

Tale ragionamento potrebbe in parte motivare la ragione del volto sorridente del filosofo-scienziato rappresentato nell’iconografia tradizionale, ma sinceramente ciò si rivelerebbe alquanto riduttivo. Certo, Democrito era un grandissimo sapiente, ma pur sempre uomo rimaneva, ed, in quanto tale, oggetto, come tutti i suoi simili, di passioni e desideri irrealizzabili, per non dire, spesso, logoranti, silenziosamente logoranti.

Se invece la sua felicità derivasse dalla coscienza della sua misera condizione di uomo mortale? Se invece fosse il suo modo di fronteggiare la propria consapevolezza di non essere altro che un temporaneo ammasso di atomi destinato a dissolversi, per un motivo o per l’altro, a morire, così?

Lui, che sapeva, lui, che davvero era giunto alla squallida triste verità della condizione umana, lui, un uomo senza Dio, senza timore, un "materialista di prima classe" innamorato della scoperta, uno come tanti, forse meno vigliacco degli altri, aveva capito che quel poco tempo che la fortuita combinazione del caso ci concede va vissuto profondamente, in armonia con se stessi, in equilibrio con il resto del mondo… E sorrideva, poiché soltanto sorridendo l’uomo cosciente può riuscire a sopravvivere.