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Introduzione
a VICO 1.la
"metafisica di Vico e la scienza delle scienze 1.Considerazioni
preliminari Vico,
se pur parzialmente, si riallaccia alla tradizione galileiana. Forse è proprio
per questo che nella sua mente si è andato formando un progetto sull'origine
dei miti, del linguaggio e della società. Per ragioni esterne dovette
distaccarsi dal lucrezismo e dal gassendismo scoprendo un nuovo tipo di
platonismo, mantenendo il diluvio come punto di partenza. Tale rinnovato
"platonismo" ha una cosmologia galileiana e copernicana basata sul
concetto di creazione ininterrotta ( ma non ex nihilo (come Lucrezio) che
presuppone la materialità di Dio). Tali elementi
basilari vengono utilizzati in un sistema scientifico che analizza il corso
storico, non in senso universale, ma dell'umanità gentilesca. Ecco perché il
"diluvio" elimina il problema dell'ortodossia. Al centro di tutto vi
è il movimento storico all'interno del quale sono analizzabili le
trasformazioni che la mente gli oggetti, le istituzioni e il linguaggio
subiscono. La scienza nuova quindi non ci dà solo una conoscenza teorica del
passato, ma dimostra anche una forte protrensione per forme di vita future. 2.La formazione
della metafisica vichiana Il
periodo della svolta dalla fase lucrezio-gassendiana al platonismo avviene
durante gli anni del suo esilio volontario a Vatolla, momento nel quale ebbe
luogo la fase dei movimenti
ateisti. Dall'Autobiografia emerge la metafisica platonica in cui Vico
identifica un principio materiale che è idea eterna e crea da sè la materia
medesima, attraverso uno spirito seminale. Ancora dall'Autobiografia in
relazione alla teoria del "verum ipsum factum" (identità del vero col
fatto) Vico afferma che nella nostra mente "sono certe eterne verità che
non possiamo sconoscere o riniegare", cioè che non sono fatte da noi; ma
per il "rimanente", cioè delle cose in relazione col corpo abbiamo
fantasia, passioni, odori, sapori etc. Ecco che vengono a formarsi due distinti
principi: l'uno materiale, incorporeo, ideale, eterno, attivo; l'altro, in
quanto generato dalla iule, mantiene una sua propria capacità attiva. Un altro
principio fondamentale è la falsitas la quale sia per Gravina che per Spinoza
è superabile relativamente al tutto; anche Vico la fa un principio metodologico
basilare: partendo egli dal presupposto che, per quanto siano corrotti o falsati
gli atteggiamenti umani, resta pur sempre in essi qualcosa di vero, che sta alla
"nuova scienza" scoprire. L'intelletto ha un istinto naturale che dà
communes notitiae uguali per tutti gli uomini le quali, pur essendo principia,
hanno corrispondenza con gli oggetti reali: Sono queste superiori verità, sorte
dall'istinto naturale che permettono la conservazione dell'individuo e
dell'universo e che ci danno facoltà nuove di fronte a oggetti nuovi. Tale
istinto è la "provvidenza". La teoria della provvidenza perciò
corrisponde a quella dell'autoconservazione della natura. L'intelletto
però di fronte all'infinito vacilla in quanto, istruito dalle sue
notizie comuni, insegne che l'infinito supera il nostro concetto. Le facoltà
,quindi, sono i corrispettivi delle differentiae rerum, ed è per questo
che si limitano alla conoscenza delle cose comuni. Non è da tralasciare
la "mutatio" ovvero il fatto che le cose mutano col tempo e quindi le
facoltà si espongono ad errori .Viene dunque proposta una teoria che ha al suo
vertice le nozioni comuni innate nell'uomo e alla sua base questa sorta di
memoria sottoposta alla mutatio. Anche
riguardo alle religioni le nozioni comuni possono aiutarci, liberandoci di
quelle parti superflue dei dogmi che non servono alla salvezza e alla felicità.
Herbert sostiene la libertà dell'arbitrio e propone la sua teoria zetetica cui
Vico si rifà nell'enunciazione della sua topica come risulta nella seguente
tabella:
An sit-se la cosa
esista
Quid-cosa sia
Quale-qualità, gradi e affezioni
Ad quid-relazioni analogie
Quomodo-come sia(colori,sapori etc)
Ubi-luogo
Quando-durata e corruzione
Unde-causa, concausa
Conservatio universi Inoltre
le facoltà si manifestano in noi ad ogni nuova sensazione, anche se esse sono
messe in secondo piano rispetto all'arte critica(la topica) che ci permette di
apprendere il vero. Ritornando alla Provvidenza per gli antichi il fato era solo
l'ordo rerum disposto da Dio che si presentava come un ante fatum, sotto questa
luce le scoperte di Galileo non fanno altro che rientrare in questo ciclo vitale
prestabilito. Per Vico "la bontà divina nell'atto stesso di volere, crea
le cose volute e le crea con tanta facilità che sembrano prodursi
spontaneamente; evita così l'obiezione che padre Mersenne rivolse a Bruno
"Unde libertas, Unde arbitrium nostrum?". 3.Il conato come
creazione continua Importante
è il valore che Vico attribuisce a ciò che chiama zenonismo, ossia la dottrina
dei punti metafisici, riassumibile nella tesi che il punto in quanto momentum
non è esteso, ma genera l'estensione. La definizione di punto ha quindi un
valore reale e non nominale. Il
punto-momento è il conatus. Il conato, espressione fisica del punto non è in
moto, ma è generatore di esso, come non è punto né numero, ma generatore di
entrambi. E così è come se le ricerche di Galilei sulla dinamica si fossero
trasferite nella metafisica che in quanto scienza dell'infinito ingloba anche la
fisica che si limita però allo studio delle cose finite. Vico è dunque un
seguace di Galilei, tuttavia lo critica per aver sottodeterminato la metafisica
rispetto alla fisica e per aver
sostenuto la diversità tra infinito e indivisibile: "uno è l'indivisibile
perché uno è l'infinito, e l'infinito è indivisibile perché non ha in che
dividersi, non potendo dividerlo il nulla." L'accumulo di moto che Galilei
vede risultare dall'infinitezza della percossa, per Vico è una parte di energia
potenziale che il conato sviluppa nell'universo e che dal punto di vista
metafisico non varia mai poichè il conato non è a base della dinamica, ma
della struttura dell'universo; una creazione infinita, dunque, data dal conato
che provoca mutamenti causali riconoscibili nel tempo. Il
conato dell'anima del mondo agisce anche sulla nostra mente che crea tutte le
arti necessarie al genere umano.In un certo senso è Dio che si fa anima in
tutte le anime. 4.Il platonismo
moderno Per
meglio capire Vico è necessario parlare genericamente del platonismo
dell'epoca; platonismo che assumeva un'altra configurazione meno vincolata alla
"pia philosophia" e più introdotta nelle scienze. All'interno di
questa corrente platonica possiamo riferirci all'opera di Doria nella quale è
riportato il dibattito riguardo alla creazione in cui la Chiesa dichiarava che
Dio aveva creato in tempo e dal niente il mondo, escludendo così la concezione
platonica di produzione eterna. Vero è però che la Chiesa aveva dichiarato di
accettare quelle verità che per via filosofica e razionale si dimostrano,
considerandole non contrarie alla santa rivelazione, cioè alla creazione in
tempo e dal niente che l'intelletto non riesce a intendere; ciò perché se la
creazione respingesse le verità razionali, la creazione in tempo e dal niente
non potrebbe essere. E' a questo punto che Doria risolve teoricamente la
questione sostenendo che la materia come la spiega Platone è un'idea di
un'estensione sostanziale e non solida che potrebbe essere stata in atto eternamente in
Dio e poi Dio avrebbe creato la materia corporea nel tempo e dal niente ad opera
della sua inintellegibile onnipotenza. Vico però, riprendendo il platonismo
galileiano, sposta la questione sul linguaggio adottato per far capire questo
mistero e nota che esso è in corrispondenza con delle regole di comportamento
necessarie alla conservazione del genere umano. Ritornando
al significato storico del platonismo nel primo '700 bisogna citare anche un
libro di Souverain che polemizza contro ogni forma semipanteistica di
congiunzione tra Dio la materia
riportando il pensiero di Norris, secondo il quale "l'idea di triangolo non
è altra cosa che l'essenza stessa di Dio modificata in tal modo". Più
moderata è la polemica di Leibeniz diretta contro tutti coloro che ritenevano
necessario che una forza esterna divina agisse direttamente sulle percezioni
quando bastava l'armonia prestabilita.Tuttavia assolve Platone scrivendo di non
aver avvertito niente in lui per cui gli animi non conservino la propria
sostanza personale. Gundlingius
sostiene la corrispondenza Platone -Spinoza,ritenendo che le creature non siano
altro che modificazioni dell'unica sostanza divina. Tutta
la discussione viene riassunta da Brucker che è d'accordo con Gundlingius
,e si schiera a favore della concezione moderna che le idee si sviluppano dai
sensi,sul problema della causa del generarsi delle idee,egli distingue quattro
soluzioni 1)occasionalismo 2)analogia dell'immagine umana con quella divina
3)armonia prestabilita 4)la concezione per cui l'idea è la relazione che si
riferisce all'oggetto in occasione della percezione che è la relazione che si
riferisce alla mente. Vico
si riallaccia a Brucker e integra il platonismo moderno con un progetto
d'interpretazione della genesi di questo modo di pensare.Se in passato si era
presentata l'analogia tra Vico e Kant l a reale differenza tra loro sta nel
fatto che l'oggetto del primo è il sistema scientifico mentre quello di Vico è
il rapporto tra la scienza, la sua genesi nella mente umana e le situazioni
sociali che hanno accompagnato le sue modificazioni. II. Il sistema
delle scienze 1.La
formazione degli oggetti. Rottura e continuità La
scienza vichiana è organizzata in
modo da delimitare il suo campo di ricerche. Vico infatti partendo dalla scienza
moderna ne ricerca gli elementi genetici per recuperarne in seguito gli aspetti
più complessi. Ciò è dovuto alla concezione secondo cui ogni cosa giunta ad
una relativa maturità può essere spogliata dei suoi simboli astratti e
ricondotta alla sua genesi. Il punto di partenza del "De antiquissima"
è il concetto di creazione continua che porta a negare una qualsiasi nascita
dell'universo, il quale esiste da sempre, e si sviluppa nell'opera di Vico con
l'affermazione che il fine della vita umana è il fruire delle facoltà stesse,
degli strumenti e degli appetiti che Dio ha dato agli uomini non come piaceri,
ma affinchè il genere umano durasse e permanesse in eterno". A tutto ciò
si collega anche la teoria ripresa
da Timeo di Locri dell'idea intesa come esemplare delle cose generate che perciò
si trovano in un certo perpetuo flusso di mutamento e accanto a ciò una
concezione della materia eterna e immobile integrata da una teoria del sensibile
inteso come solido concreto. Anche nel "De aequilibrio
corporis animatis" Vico
aveva sostenuto l'azione del coelum che agendo sulla terra forma o sforma le
cose mosso dall'etere(al cui comando fu creduto da tutti Giove).Il naturalismo
è così combinato con l'elemento aria che assume la funzione di una moderna
Giove-mente nell'ambito di una teoria della creazione continua tutta assestata
entro principi fisici(aria etere etc).L'azione creativa continua dà luogo alla
formazione di nuovi oggetti, contesti, da prendere in considerazione per non
lasciare gli oggetti alla loro genesi, insomma non avrebbe senso la nascita
delle cose se essa non implicasse la costituzione, lo sviluppo e l'autonomizzazione
di esse. Sarebbe infatti impossibile parlare di una religione o di un diritto
fino a che questi oggetti non si siano costituiti come tali e non si offrano
perciò alla nostra ricerca. Per dare un' idea del significato delle
"cose" è necessario notare due aspetti della questione.In primo luogo
,Vico, affinchè gli oggetti si presentino in modo visibile, ha bisogno di
metterli in rilievo con una sorta di frattura
rispetto a condizioni analoghe; ad esempio "isola" la civiltà
gentilesca tramite il mito del diluvio universale il quale tende quindi a
diventare un elemento essenziale della genesi di tale civiltà che permette di
isolarla da quella ebraica. In secondo luogo Vico considera la rottura nel mondo
dei fatti, non in quello della mente, la
rottura diviene quindi ripetizione in diverse forme della medesima vita. Oltre a
questa "rottura" è necessaria
la continuità dei significanti che tuttavia vede la mutazione dei significati a
seconda delle diverse epoche. E' l'oggetto che ha bisogno di presentarsi nella
sua unicità epistemica e che viene studiato attraverso il metodo induttivo.
Ritornando alla diversità dei significati nelle diverse epoche, possiamo notare
ad esempio il termine provvidenza che in epoca primitiva significava "sensi
scortissimi", mentre durante l'età della riflessione significa
"consigliarsi per guardar i corpi". Vico nella sua analisi va alla
ricerca della relazione tra i due significati, pur non estrapolandoli dal
loro contesto e confondendoli, anzi distinguendoli e relazionandoli. Il
risultato di questa analisi è 1)che alla base della scienza vi è anche il
sapere dei primitivi 2)che il sapere che sviluppa questi principi è il
platonismo moderno 3)che la provvidenza è in epoche primitive spontaneità,
mentre nelle epoche della ragione è conoscenza reciproca 4) che il significato
della Scienza nuova consiste nella relazione tra i diversi modi di parlare
poveri di metafore e quelli
metaforici. Ritornando
alla questione della delimitazione degli oggetti,Vico afferma che vuole
conoscere la processualità di un oggetto delimitato,assume come dato il mondo
esistente e le sacre scritture come fonte da cui ricavare la memoria e la
descrizione di alcuni fatti,se pur nella sua rappresentazione metaforica. Delle
sacre scritture riprende soprattutto miti, quale quello del diluvio universale
che considera il più importante in quanto ci presenta un'umanità in cui la
ragione si combina con la ferinità. Tale ricerca segue la regola metodica
secondo cui "non si dee dare nell'eterntà del mondo" è necessario
fissare "certi primi oltre i quali sia stolta la curiosità di domandare
altri primi". Tale delimitazione è un vincolo imposto dalla scienza, una
necessità metodologica e non ideologica. Il metodo seguito da Vico consiste
anche nella destrutturazione di ciò che si è già formato, l'oggetto, per
arrivare alla comprensione del "nascimento"; ovvero, partendo
dall'attuale complesso di significanti procede a ritroso destrutturando lingue
parlate o simboliche; a ciò segue il procedimento inverso, cioè quello della
riformazione dell'oggetto e della ricostruzione del suo esatto sviluppo nella
storia.Ma il processo non è finito. A seconda del contesto dei
significati le parole significanti possono designare cose completamente diverse.
Nel consolidarsi delle lingue parlate si è dovuto adottare dei significati ben
precisi, tuttavia il processo non si è fermato e nel corso del tempo si
verifica ancora un cambiamento di dominio del significato entro la medesima
struttura di significanti; tutto ciò spiega il divenire storico. 2.La scienza del
diritto e la scelta tra due "vie" La
teoria giuridica di Vico si compendia
nella fusione tra il diritto di natura e il diritto delle genti. Il primo
comprende lo ius volontarium in quanto libertà, dominio e tutela. Il diritto
delle genti è dato invece dalla formazione e trasformazione fattuali sia di
ogni dominio, libertà e tutela. L'unificazione tra il
diritto naturale e quello delle genti è possibile, ma deve passare attraverso
vari momenti in primo luogo perché la tendenza naturale a tale fusione inizia
dal diluvio in cui le istituzioni sono materialmente sconosciute, in secondo
luogo perché seppure la possiilità del "giusto" è insita in ciascun
uomo come una sorta di condizione trascendentale, tuttavia la naturalità di
essa non è immediatamente visibile altro che come forza.Anche la scienza delle
leggi, infatti, non nasce artificiosamente, ma da propensioni interne agli
uomini, è nata "segreta". Ecco allora che il giusto, in quelle
primitive condizioni storiche non può essere che forza, e la tutela è quasi
esclusivamente dominio. I primi amministratori degli arcana iuris esercitano la
loro funzione con la forza e in
essi non vi è traccia dell'equità naturale che condiziona il rigore della
legge. In questo pensiero si può cogliere una leggera polemica con Grozio in
quanto egli, riguardo all'umanità primitiva, sostiene che fin dai tempi più
arcani il diritto fosse già maturato con equità e ragionevolezza. La
discussione più significativa tra i due autori è però quella che si apre
intorno alla definizione Groziana del "dominio delle cose del suolo
precedente la divisione dei campi". Grozio la spiega con l'esempio dei
posti a teatro, Vico identifica il primo dominio con quello" bonitario"
che egli dice nato insieme con l'uomo. La differenza tra i due tipi di possesso
consiste nel fatto che, nel modello groziano del teatro, è ipotizzabile
un'assenza del possessore tale che il fondo, senza resistenza, possa essere
occupato da altri; in quello vichiano il possesso connaturato alla persona
comporta la difesa con la forza dell'uso del fondo. Esistono per Vico due
modelli di sviluppo storico:l' uno occidentale, legato alle trasformazioni e
nuove distribuzioni delle proprietà; l'altro orientale fondato sul permanere di
una proprietà quasi comune per cui tutti sono nobili e proprietari. Sembra
proprio dunque che la critica a Grozio sia quella di aver teorizzato unicamente
il modello orientale di società tralasciando quello occidentale. L'ultimo
aspetto della sovracitata polemica sta nel fatto che Grozio compì l'errore di
conferire all'utilità il carattere non di occasione, ma di causa, con la
conseguente sottovalutazione del diritto romano, fondamentale invece per Vico in
quanto nascita di quell'uguaglianza prima inesistente. È da notare che per
equità qui deve intendersi l'equità naturale, cioè il desiderio spontaneo di
uguaglianza (dei plebei) che costituisce ciò
che oggi chiameremo una condizionante spinta sociale. Nella questione
sulla suddivisione delle epoche Vico propone ciò che egli chiama circulus al
cui termine si trova il ritorno dell'autorità umana a Dio. Da principio gli
uomini "vedevano, volevano credevano essere Giove" è di questo tempo
il detto "Iovis omnia plena"; "tutte le cose meravigliose
e nuove sembrava necessario di credere dei". Per questa falsa
persuasione le cose umane furono perfuse di religione. Questa metafisica viene
ripresa poi dai filosofi per i quali gli uomini comprendono in Dio le idee di
tutte le cose, Spinoza rappresenta il ritorno a tale metafisica rudimentale,
infatti "contra Spinosam" è detto che quelli che sostengono che sia
Dio tutto ciò che odono e vedono" non sono filosofi, ma i più rozzi tra
le genti".
Il risultato del circolo rappresenta dunque un ritorno alle barbarie. Tuttavia
l'esito è del tutto diverso se accettiamo nell'ambito del platonismo moderno,
la distinzione tra il credere che ogni cosa sia Dio e la teoria che Dio contenga
le cose materialmente ma non corposamente. Anche
se autori come Rousseau salvano la storia sacra riservandole il regno dei fatti
e attribuendo alla ragione quello delle ipotesi, Vico predilige la storia
postdiluviana in quanto più ricca di relazioni tra occasioni di utilità e
struttura ideale; infatti elementi come domini, tutela, libertà sono in qualche
modo già innati nell'animo umano. È proprio per questo che la politica di Vico
deve tenere di conto tale considerazione. Sulle considerazioni politiche del
nostro autore ha un peso rilevante il pensiero di Doria che
è incentrato sulla necessità per un stato di sviluppare ricchezza
reale, ben distinta da quella ideale. Dunque
Vico non è contrario alla ricchezza sotto forma di segno, anzi la valorizza e
ne sente la necessità nell'economia statale.
3.Scienza
della storia: "principio del blasone" e "stato perfetto". Il
vero problema che Vico si pone è quello di scoprire il modo come anche l'umanità
gentilesca sia potuta giungere al vero: la scrittura, i testi omerici e Platone
contengono la stessa verità metafisica circa l'essere e la sua attività,
diversi sono solo i tempi in cui fu possibile raggiungere la conoscenza di ciò.
Nonostante la ferocia e l'ignoranza degli inizi
una capacità inventiva ha permesso di giungere a quel concetto
ontologico di universalità che apre l'era dell'uguaglianza. La storia si
manifesta così come una drammatica vicenda il cui fine è la conservazione del
genere umano. L'origine della scienza vichiana del blasone è dunque
nell'umanità primitiva, nella lingua simbolica degli Egizi, nel parlare muto
del re di Scizia, il quale a Dario che gli aveva dichiarato guerra aveva inviato
una rana, un topo, un uccello, un aratro e un arco per dirgli che era nato in
Scizia, che lì aveva fatto la sua casa, come i topi le tane; che l'impero era
suo perché aveva gli auspici (gli uccelli), il dominio dei campi e delle armi.
Ciò dimostra che nei tempi antichi la favola e l'espressione sono una cosa
stessa; nell'epoca attuale, i simboli hanno assunto il valore di favole
mantenendo tuttavia un loro significato comunicativo. La
questione estendendosi tocca il principio della nobiltà, che pur prodotta per
frode e per violenza paradossalmente emana i principi alla base dell'equità
civile. Vico così dice che giustizia e clemenza nacquero per fondare gli stati,
non per conservarli come affermava Machiavelli. La giurisprudenza e la
giustizia; non sono un dono dei fondatori, che furono rozzi, ma il risultato di
una trasformazione del dominio appena nato, che viene permeandosi di bisogni
nuovamente insorti e li istituzionalizza. Poiché tali bisogni rinnovano i
vecchi istituti, ma non rompono con essi, si può concludere che il principio
del blasone o della nobiltà resta operante, anche quando vi è la richiesta da
parte dei plebei di equità naturale. Assai moderna e rilevante è la teoria
dell'akmè, ossia dello stato perfetto. Essa
è legata alla scoperta dei modi in cui si presentano i bisogni umani e quindi
il punto di massima laicizzazione della provvidenza. Nel momento in cui si
presenta il bisogno lo stato dispone di una sapienza riposta (in idea) che si
trasforma in sapienza volgare, pratica che guida il corso della storia sul
modello di uno stato ideale. 4.La scienza della
storia nella sua ultima esposizione Nella
Scienza Nuova Vico sottolinea l'importanza dei testi omerici. La favolosa storia
omerica è individuata come un documento dell'origine del nostro mondo sociale
che, pur ristretto nel tempo, possiede un'intensità poetica che l'abilita a
fornirci gli elementi della sapienza civile. Ritornando al rapporto tra storia sacra e gentilesca è da
sottolineare anche che le leggi che regolano lo sviluppo dell'umanità
gentilesca sono autonome dalla storia sacra. Queste danno luogo a una serie
ideale eterna i cui casi però vanno tralasciati in quanto le cose
"dovettero, debbono e dovranno" andare così come posto dalla
provvidenza"fusse anco che dall'eternità nascessero mondi infiniti". Nella
storia ideale eterna esistono dei presupposti che si ripetono in situazioni
diverse e danno luogo allo sviluppo di medesimi pensieri in forme diverse.Ad
esempio la metafisica di Aristotele non è altro che quella di Platone
trasportata dal dialogo al metodo didascalico. Altro
esempio può essere il fatto che due popolazioni distanti nel tempo di fronte a
fenomeni inspiegabili credono esserne causa gli dei.Tale procedimento mentale è
legato alla capacità creativa della mentalità primitiva:ciò che è soggettivo
diviene la cosa stessa,"fingunt simul creduntque".Come l'uomo
primitivo in tutto ciò che vedeva e credeva,sentiva Giove,così anche Platone
immaginava che fosse l'etere a riempire il tutto. Vico
afferma che la mente" indefinita e angustiata
dalla robustezza de'sensi ,non può altrimenti celebrare la sua presso che
divina natura". Ciò
che Vico chiama "indifinitezza"della mente spiega l'uso inconscio dei
tropi da parte dei selvaggi.La metafora,la metonimia …sono necessarie per
esprimere il falso come vero,per rendere più palpabile un qualcosa altrimenti
non capibile.Solo più tardi il poeta seppe usare la ragione astratta ad altri
fini. Una
favola o un simbolo a seconda che siano usati da un gruppo sociale o da un altro
possono modificare il loro significato,così come lo possono mutare anche il
tempo o lo spazio.Un esempio possono essere le parole popolo re e libertà , che
a seconda della
forma di governo mutano il loro significato.Importante è il ruolo delle favole
anche perché in esse è racchiuso sotto forma di embrione tutto il sapere. Le
favole a sua volta sono divise secondo tre specie di costumi:1)religiosi (Deucalione
e Pirra)2)collerici (Achille)3)officiosi (i doveri civili). Tra
la prima e la seconda specie vi è un forte mutamento, ma il vero passaggio
avviene nella terza, ove l'individuo diventa parte della società. La stessa
osservazione si può fare a proposito del diritto:1)divino2)della
forza3)umano(quello della ragione). Per quanto riguarda il movimento delle forme
politiche accade che quelle corrispondenti all'età che seguono possono
mescolarsi alle istituzioni dell'età precedente, non però viceversa; inoltre
le trasformazioni dei regimi politici avvengono solo attraverso le rivoluzioni o
lo scontro tra classi sociali. Nella sua divisione dell'età Vico non si limita
a sostenere la teoria del "circolo", ma prefigura anche una quarta età
quella in cui il potere sta nelle mani della vera aristocrazia naturale che
gestisce uno stato ricco di beni reali prodotti dall'operosità di produttori
onesti e rigorosi. In questo caso però il ricorso diviene quasi una minaccia,
poiché dopo questa età una nuova classe di forti potrà rompere l'equilibrio. 5.Prolegomenoi a
una scienza linguistica Il
primo problema filologico affrontato da Vico riguarda il fatto che i filologi da
sempre hanno creduto essere nate prima le lingue, poi le lettere, mentre per
Vico esse sono nate e sviluppate insieme. Dimostra ciò esponendo il principio
generale secondo cui una nazione supposta rozza appropria al nome dell'uomo le
azioni da lui ripetute più frequentemente e le più caratteristiche. Si tratta
del principio per cui il nome Ercole, indicante una persona dotata di una certa
proprietà e così chiamato in forza di quella, si applica poi a tutti i casi in
cui quella medesima proprietà si ripresenta. Il nome proprio assiduo oggetto
della logica moderna viene nella linguistica vichiana usato in modo che esso
diventa una qualità o proprietà ripetibile. Il nome proprio funge da nome
comune.E' da notare il fatto che i filologi non avvertirono questo
fenomeno e si determinò ciò che Vico chiama "mostri di
cronologia". Nella "Scienza
Nuova"
si legge: i Romani, ignoranti delle astuzie della guerra, del fasto e dei
profumi, poi che avvertirono il primo costume ne' cartaginesi il secondo ne'capuani,
il terzo ne'tarantini, essi ogni uomo nel mondo nel quale dopoi rincontrarono sì
fatti costumi, appellarono o "cartaginse" o "capuano" o
"tarantino"; ciò è stato finora creduto che fosse invenzione dei
poeti, senza rendersi conto che tale era il vocabolario di tutte le prime
nazioni gentili. Altro
problema affrontato da Vico è quello della "contemporaneità" delle
lingue e delle lettere. Anche la
tradizione favolosa inizialmente doveva avere qualcosa di "vero", ed
è proprio di questo che Vico va alla ricerca. Il primo oggetto della sua
scienza linguistica è la capacità di stabilire una relazione tra l'espressione
linguistica(significante) e un certo ordine di fatti. Per esempio la parola
Caos: il suo primo referente fattuale fu la confusione dei semi umani per
l'inesistenza di legami matrimoniali; alla stessa parola più tardi i filosofi
dettero l'interpretazione di "fusione dei semi della natura". Con
questo Vico arriva alla conclusione che i primi uomini furono poeti non per
diletto, ma per necessità: questo è ciò che significa ritrovare le vere
origini della lingua. E se questi uomini come "mutoli" dovevano
parlare di "anno" non avendo ancora tale vocabolo? Dovettero ricorrere
ad una falce o al braccio in atto di falciare ,fatto cenno di aver tante volte
mietuto quanti anni volevano significare. Essi senza rendersene conto usavano
tropi poetici, inventando una forma di metonimia derivante dai bisogni e non dai
capricci umani. E' da notare la grande vicinanza di Vico con Rousseau il quale
sostiene che "appena un uomo fu riconosciuto da un altro per un essere
senziente, simile a lui, il desiderio o il bisogno di comunicargli i suoi
sentimenti o propri problemi gliene fece cercare i mezzi. Questi ultimi non
possono che trarsi dai sensi, i soli strumenti con i quali un uomo possa agire
su un altro. Ecco dunque l'istituzione dei segni sensibili per esprimere il
pensiero. Gli inventori della lingua non fecero questo ragionamento, ma
l'istinto gliene suggerì le conseguenze. La differenza da Vico consiste nel
fatto che Rousseau spiega l'origine delle lingue non coi bisogni materiali, ma
con quelli morali e sostiene che le necessità di cercare di che vivere li
costringe ad allontanarsi. La "prima" lingua, afferma Rousseau,
dovette essere ricca di tropi, la parola figurata nasce prima della parola
propria nel senso che ciò che ci sorprende è l'idea e non la verità, per
esempio gigante in luogo di uomo. Mentre Rousseau rivaluta la moralità e i sentimenti umani,
andando contro ogni materializzazione dell'operazione dell'anima, Vico mantiene
una rispondenza a utilità e necessità che non sono solamente di natura morale.
Vico riesce a vedere il "mutos" sullo sfondo della fattualità storca,
dei bisogni reali e delle istituzioni entro cui prende forma, rimanendo legato a
un forte realismo. Riassumendo
il completo ragionamento si possono stabilire tre punti riassuntivi:1)La lingua
latina ebbe origine monosillabica e le lingue parlate furono poetiche 2)Ogni
lingua nello spiegare le cose spirituali sente la necessità di mantenersi in
rapporto con le cose materiali 3)Molte parole sono suoni imitativi o di passioni
o di oggetti ed anno perciò la loro origine nell'onomatopeia; ne è un esempio
Giove nella lingua latina e greca: fu detto dai greci Zeus dal fischio del
fulmine, fu detto dai latini Ious (genitivo Iovis) dal fragore del tuono. Ne
esce fuori un dizionario mentale comune a tutte le nazioni, nato dalle diverse
modificazioni che le nazioni ebbero intorno alle stesse umane necessità o
utilità comuni. Pur passando attraverso diversi cieli, natura e costume le
origini delle diverse lingue convengono in una lingua ideale comune. Nello
sviluppo linguistico Vico individua una serie di trasformazioni che culmina nel
passaggio dal linguaggio dei nobili e dei popoli eroici a un parlare naturale,
che è anche socializzazione di poter. La diversità delle lingue si spiega con
la variazione dei rapporti di forza, di mentalità e di civiltà del popolo
oggetto di storia. Erano uomini quelli che vedevano la natura eroica metà
divina e metà umana, era una lingua quel loro modo di parlare monosillabico che
precedette la neoformazione di un parlare articolato, ugualmente conforme a
natura. Ora tale lingua mentale comune a tutte le nazioni è capace
uniformemente di intendere la sostanza delle cose agibili nella vita sociale
umana e di spiegarla con tante diverse modificazioni per quanti diversi aspetti
ci possano essere. Attraverso un forte senso comune nasce un parlare composto da
voci indivisibili che, unito al conato, permette la potenzialità di mantenere
la continuità della specie umana. Per Vico anche i primi parlare monosillabici
hanno una loro propria potenziale forma di essere, perché hanno alla base una
metafisica che si dispiega, onomatopeicamente, nel rilevare i caratteri di un
corpo. L'analisi
linguistica di Vico ha un valore anche politico,infatti egli stabilisce un nesso
tra le leggi e la loro comunicazione linguistica.Se le leggi parlano la lingua
di un gruppo sociale vasto come il popolo,e se esprimono interessi diversi da
quelli della nobiltà,allora la loro esistenza introduce un patto che diviene
obbligante per i ceti residui delle precedenti forme di dominio cioè i
nobili.Questo ragionamento ricalca il celebre giudizio di Machiavelli sulla
centralità del popolo nel governo dello stato. Ritornando
ad un aspetto fondamentale della Scienza Nuova, si era detto che i primi popoli
della gentilità, per necessità della natura, furono poeti. Come si spiega però
il fatto che la poesia nè rimase l'unica forma espressiva, né sparì? Vico fa
varie ipotesi incentrate sullo spostamento del ruolo iniziale della poesia
occupato adesso dalla retorica,che si mantiene in rapporto col senso comune.Il
fine della poesia non è più così la necessità , ma la delectatio. 6.Un
abbozzo di sociologia, la "mente eroica" e la Marchesana della
Petrella Quand'è
che gli eventi storici passano ad assumere in Vico un significato sociologico?
Ciò è costituito nella Scienza Nuova da quelli che Vico chiama "principi
della storia ideale eterna" i quali sono chiariti con la natura dei popoli
inseriti in un processo che è il seguente: la natura dei popoli è dapprima
cruda, poi severa, quindi benigna, dopo delicata e infine dissoluta. Aggiunge
anche alcune esemplificazioni di caratteri: Polifemi, Achilli, Aristidi,
Alessandri, Tiberi, Neroni e spiega che i primi furono necessari per far
ubbidire l'uomo alle leggi, i secondi per stabilire le repubbliche
aristocratiche, i terzi per aprire la strada alla libertà popolare, i quarti
per introdurvi le monarchie, i quinti per stabilirle, i sesti per rovesciarle.
In ciò è importante sottolineare che i cambiamenti delle istituzioni si
adattano alle mutazioni degli uomini che vivono associati e mutano i diversi
modi della loro associazione nelle diverse fasi del loro vivere storico o come
dice Vico "i governi debbono essere conformi alla natura degli uomini
governati". In questo contesto la storia ideale eterna
è un'ipotesi modellata sui fatti, ma non chiusa
e immodificabile. La
questione però si complica analizzando la seconda definizione di storia ideale
eterna. Viene messo in rilievo il tema del conato e quello della provvidenza che
mostra come l'uomo bestiale ami solo se stesso, ma se collocato nel processo
storico, seguiti ad amare principalmente se stesso, ma anche attività e ordini
sociali (famiglia, città…). Vico allora arriva alla conclusione che ci sia
una superiore giustizia divina che fa si che le cose dovettero debbono e
dovranno andare nel modo in cui tale scienza dispone e anche se dall'eternità
nascessero mondi infiniti, (ciò è falso); Vico nega quindi
la serie di mondi infiniti teorizzata dal platonismo moderno. La questione più
importante, però, è che sulla base dell'ammissione ed esclusione dei possibili
è data una seconda definizione di storia ideale eterna che presenta in primo
luogo la descrizione delle storie di tutte le nazioni e in secondo luogo una
narrazione rivolta agli agenti storici, in quanto essendo le nazioni fatte dagli
uomini non vi può essere cosa più certa della narrazione del loro operato
fatta da loro stessi, cioè la storia; così questa scienza procede come la geometria e come essa il suo oggetto può essere conosciuto in quanto frutto dell'invenzione umana. Esperienze
sociologiche reperibili in Vico si trovano nella categoria dell'eroismo. Il primo documento è
il De Mente Heroica che ci fa capire in Vico il processo di fusione tra
movimento storico e progresso scientifico. In epoca moderna l'eroe è colui che
opera nel pericolo continuo del ricorso avendo scoperto gli strumenti
diagnostici per evitarlo. L'eroismo inoltre favorisce l'accumulo di ricchezze,
ma allo stesso tempo fa mantenere la libertà; conciliazione fra due estremi
possibile solo tramite la capacità eroica. Questi temi sono ripresi nel già
citato De Mente Heroica. Dopo aver accennato alle facoltà umane che sono
arricchibili, Vico difende la diversità dei metodi d'insegnamento,
giustificandola con la varietà delle discipline e la molteplicità delle nuove
scoperte, seguendo il modello
platonico per cui comprende le forme create, ma insieme intende che vi sono
possibilità ancora non realizzate. Per essere utile allo Stato, l'uomo eroico
deve apprendere con passione, perché spesso le facoltà di cose ottime stanno
nascoste ed è difficile intuirle. Dopo aver ricordato il caso di grandi uomini
non dotati dalla natura di facoltà a loro note, che perciò hanno dovuto "erocamente"
scoprirle e costruirle, Vico ricorda le più grandi invenzioni dell'umanità e
fiducioso crede che in futuro ve ne saranno di nuove altrettanto importanti. Il
concetto di mens eroica diventa così la cornice filosofica di una grande
fiducia nel progresso che porterà alla scoperta di beni ancora nascosti, ma già
presenti nel mondo che spetterà ad una mente eroica scoprire, seguendo la
strada di Galileo, Cartesio o Grozio. La
delineazione filosofica del concetto d eroismo non sarebbe però completa se non utilizzassimo un altro documento: lo scritto in onore
della morte di Angela Cimmino. Si delinea così una forma di eroismo più intima
e privata cui prende una parte cospicua la religione, quando la giovane donna
ventisettenne muore abortendo. In questo caso il carattere eroico è una fusione
tra platonismo e cristianesimo poiché di fronte all' "ultima necessità"
la filosofia può unicamente farcela intendere, ma solo la religione può
renderci sordi agli affetti terreni. La marchesana della Petrella infatti
si era avvicinata alla morte avvalendosi sia di studi di carattere religioso che
filosofico. Con questo esempio Vico ci vuole rappresentare un atteggiamento
dello spirito per cui l'animo umano, allontanandosi dalle forme sensibili, può
lasciare che esse si disperdano nel "senso comune" delle idee. Un
altro motivo di grande interesse storico-psicologico è la descrizione di come
la Cimmino seppe vincere il suo carattere collerico, che oggi chiameremo
nevrosi, tramite una virtù per così dire "eroica" che attraverso lo
studio delle lettere gli permise di addomesticare il suo animo collerico. La
Cimmino è dunque un carattere esemplare dell'eroismo dell'età vichiana che ha
faticosamente e dolorosamente trasformato il suo naturale istinto affinchè la
sua morale si adattasse a una forma di vita che nell'autocontrollo come libertà
stava trovando la sua nuova morale eroica. |